Giuseppe Fontanazza, Enna - Il Campanile Enna

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Giuseppe Fontanazza, Enna

A letteratura du Campanaru

Giuseppe Fontanazza Roxas
direttore della Biblioteca di Enna

ENNA

A chi non è accaduto in treno di sentirsi chiedere il nome del suo paese? La domanda frutto di quella cordialità che nasce tra persone costrette dal caso a star vicine per qualche ora, è fatta con un tono così garbato che non si può fare a meno di rispondere. Anche a me viaggiando accadeva delle  volte di dover nominare il mio luogo natio e allora invariabilmente, se gli interrogatori erano isolani, eccoli a ciarlare della campana del Duomo, la più grande della Sicilia, e se del continente, di Napoleone Colajanni dicendone il maggior bene di questo mondo. Certo mi faceva di sentire dovunque andassi che  in grazia del campanone e dell'illustre parlamentare, non s'ignora la mia terra però, in seguito, restavo, pensoso di dimenticanze che a me, fresco di studi classici, sembravano enormi...


La campana del Duomo è senza dubbio una gran bella campana, specie nelle fresche mattine di estate quando lancia nell'azzurro la sua Voce possente ed armoniosa; Napoleone Colajanni è un valentuomo degnissimo di tutti i riguardi ; ma...e Proserpina rapita da Plutone sulle piagge del Pergusa; e il culto della sua degna genitrice onde Enna  era riguardata come la città santa della Sicilia; e le canagliate di Verre, rapinatore di cose sacre e profane, per cui venne tra noi nientemeno che Cicerone; e lo schiavo Euno d'Apamea  che, dalla nostra rocca gettò il primo grido di redenzione umana? Perchè non si ricordavano questi avvenimenti ed altri memorabilissimi esaltati dai poeti e narrati dagli storici?...Il motivo di tale oblio non si affacciava, per quanto lo torturassi, al mio pensiero  e ne sentivo' un fastidio che mi lasciava la bocca amara. Perché ,santi numi, quando si parla di Enna si ha bene il dovere di ricordare, oltre la campana e il suo deputato, qualche cosa delle sue leggende e della sua storia !...

Ora che ho messo giudizio rido di quelle puerili malinconie e mi stupisco di come  mai avessi potuto pretendere, negli incontri fortuiti, che Tizio s'interessasse alle vicende di Proserpina, Tizio che forse commerciava in salati e che Sempronia avesse tremato di oscura letizia dell'irrompente passione di Pluto, Sempronia che sa Dio quante volte s'era fatta, diciamo così, rapire; che insomma la  parte di umanità con la quale barattiamo in viaggio qualche frase, a sentire di Enna, si fosse esaltata, se non alla nostra storia, almeno alla vetustà dei miti, tutto un mondo di poesia creato nell'evo lontanissimo per addolcire la faticosa vita dei mortali. Dunque rido di quelle ingenuità, ma debbo confessare, con il dovuto rispetto alla storia, che mi è rimasto un debole per il mito.


E come non averlo quassù tra i fiori scintillanti di rugiada, nella solennità di un paesaggio insuperabile ? Appiè della rupe si distende la campagna lieta del sole di maggio. Ridono a mezzogiorno, tra i mandorli e gli ulivi, le acque del Pergusa; larghe chiazze di verde vivo, il grano ancora tenero, vanno a diritta e a manca, salgono le colline, si affacciano, tra ciuffi di fiori rossi e gialli, sugli stradali, circondano le casette coloniche, scompaiono sotto i boschi d'ulivi, tornano a ridere più lungi e si perdono variando in mille colori al piedi delle alture che baciano l'orizzonte. E’ un sincronismo ampio di luci in una conca d'infinita bellezza su cui dominano imponenti un castello  che sembra eretto a presidio dell'isola da artefici favolosi e, in fondo, l'Etna bianco e turchino.

Alcune caprette brucano l'erbe saltellando con scatti imprevisti e aggraziati lungo l'orlo dell'abisso e un pastore adusto, appoggiato al bastone, guarda i campi con nel cuore chi sa quali brame di pascoli abusivi. Che tripudio di rondini nel cielo cristallino! Astrazion facendo del pastore, la terra rigogliosa, i suoi effluvi fuggitivi, la sinfonia di suoni imprecisabili ma tenui e soavi come sospiri che da essa s'innalzarmi mettono nel l'anima uno scompiglio che mi forza a lagrimare di tenerezza. E penso che di certo dovette assistere da quest'altura al prodigio della risorgente primavera chi primo consacrò Enna a Cerere madre! Quale luogo poteva infatti trovarsi in Sicilia più adatto di questo per il culto della Dea liberale? Qui ridono fiori perpetui; qui gli uccelli cantano con più gioia; da qui l'occhio può dominare l'infinito.

Tutto è soave e sacro su questa rupe, patria del mito che non conosce occasi, cara ad imperatori ed a poeti, teatro un giorno di fulgide gesta e di lotte cruente e oggi adagiata placida nel verde e nell'azzurro, paga della sua nobiltà immanente coi suoi palazzi bianchi al sole, con le sue torri superbe e le sue belle chiese. Che importa se il tempo si è accanito a distruggere i monumenti che la facevano emula di Siracusa e di Agrigento? Le monete di mirabile fattura e i capitelli corinzi, le colonnine da cui balzano meravigliosi tripudi di pampini e di bimbi, bastano da sole a testimoniare il suo passato splendore. Ma se pure tali vestigia dovessero scomparire e della sua antica opulenza dovesse restare si e no soltanto un cenno nelle istorie, Enna rimarrebbe sempre l'incantato soglio di Cerere, madre delle biade e di Proserpina, forza e grazia indefettibile della natura che ogni anno ritorna per rianimare il creato con il suo corteggio di fiori e di canti.  

Giuseppe Fontanazza Roxas




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