Condannati a morte (parte 1) - Il Campanile Enna

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Condannati a morte (parte 1)

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Il mondo contadino in Sicilia
alla fine della guerra

tratto da "Condannati a Morte Brevi cenni delle lotte contadine dal 1944 al 1950 nella Provincia di Enna
di Pino Vicari

"Condannati a morte" scritto da Pino Vicari nel 2002, è una lezione di storia vera, una testimonianza della Sicilia negli anni del dopoguerra, della grande lotta dei movimenti democratici per l'emancipazione della nostra isola dal latifondo e dalla mafia. Il titolo "Condannati a morte" si riferisce alla sentenza di morte promulgata in un summit mafioso contro lo stesso Pino Vicari e Carmelo Librizzi, in qualità di esponenti del movimento contadino, sentenza fortunatamente mai eseguita.      

Gli avvenimenti che sto per raccontare non vogliono essere un saggio storico, sociologico o letterario, non ne avrei la capacità, la competenza, la cultura. E' la storia di un gruppo di giovani e non, che hanno vissuto una bella ed esaltante stagione, politica, sindacale e sociale, nella loro coscienza ed incoscienza.
Il pionierismo dei dirigenti politici e sindacali di allora e il loro contributo alla nascente democrazia, ormai è storia che nessuno può cancellare. Il mio vuole essere una maniera di far sapere ai giovani che il benessere di cui godiamo oggi è frutto di quelle lotte a volte vincenti a volte perdenti.
I fatti raccontati sono rigorosamente veri, documentati, se qualche omissione si dovesse riscontrare, riferita a persone o a fatti, sarà da addebitare a qualche dimenticanza, di cui chiedo scusa.


La situazione nelle campagne nel secolo scorso

In Italia, sia nel meridione che in alcune zone del nord, il sistema di conduzione, in agricoltura, era dominato dalla mezzadria e dall'affittanza.
L'agricoltura era organizzata in quattro grandi categorie: il proprietario della terra, l'affittuario (o gabelloto) grande o piccolo, il mezzadro ed i braccianti agricoli (lavoratori giornalieri).
Nelle quattro categorie, vi erano delle specificità: i proprietari erano divisi in due classi; proprietari assenteisti, cioè nobili, baroni, duchi, principi ecc.. che quasi sempre se ne stavano nelle grandi città e spesso non conoscevano l'ubicazione dei loro feudi, che venivano date a grossi fittavoli (Gabelloti) quasi sempre in odore di mafia, e proprietari conduttori i quali si occupavano direttamente della conduzione delle terre.

L'organizzazione nel feudo

Nel feudo la vita si svolgeva in un grande caseggiato, posto quasi sempre in collina, a forma di quadrilatero, fatto in modo, che, in caso di pericolo, bastava chiudere il portone perché diventasse un fortino. Nel caseggiato vi erano gli alloggi dei vari personaggi, compresa la parte riservata al proprietario, le grandi stalle per i cavalli, i magazzini e la "RIBATTERIA", grande locale con forno e cucina dove il Ribattiere preparava il pane, la pasta, per dare da mangiare al personale dell'azienda, qualche volta aiutato da donne salariate.
Nel caseggiato del feudo, vi era una cappella con campanile dove le domeniche il prete, arrivato a dorso di mulo, andava a dire la messa. Tutto questo era la "MASSERIA" , che oggi in decadenza e in rovina è ridotta a ruderi disabitati.
I Gabelloti "imponevano„ il canone (Terraggio) che ogni anno pagavano al proprietario assenteista, in questi casi la conduzione del feudo era affidata al gabelloto che sfruttava la terra secondo i suoi interessi. Ogni gabelloto aveva la sua "gerarchia,, , uguale alla struttura feudale, gerarchia a cui era affidato il controllo dei lavori, la sicurezza nella zona, le sopraffazioni ed intimidazioni verso i mezzadri ed i salariati.
Il "SOVRASTANTE", era la massima autorità (era una specie di amministratore) sempre mafioso o collegato alla mafia.
Il "CAMPIERE", assicurava la sicurezza nel feudo, curava il rapporto con i mezzadri, controllava il lavoro dei salariati; i campieri potevano essere più di uno secondo l'estensione del feudo, ma sempre mafiosi.
I1 "CURATOLO" era la persona a cui veniva affidata la cura delle mandrie, bovine e ovine, che controllava tramite i pastori. Nel feudo, al margine della masseria esisteva il "MARCATO" ampio recinto con muri a secco e rovi che conteneva le mandrie; dentro questo recinto vi era un caseggiato, che serviva da abitazione per il curatolo e i pastori; dentro il recinto avveniva la mungitura degli ovini e bovini ed in appositi locali veniva lavorato il latte per la produzione del formaggio e della ricotta, sotto il controllo del curatolo.
Vi erano altre figure nella gerarchia, i"GUARDIANI" quasi sempre stagionali, il "RIBATTIERE", assunto con contratto annuale (Annaruolo) che svolgeva le mansioni di Vivandiere.
I "SALARIATI" che si dividevano in: giornalieri, mesaruoli, salariati fissi, con contratto annuale:
Nei periodi più intensi dei lavori, aratura, semina, mietitura, trebbiatura, trasporto dei covoni, i salariati fissi venivano utilizzati per l'aratura con i buoi, per il trasporto del grano con grandi carri trainati da buoi (Carrozzieri), e per il trasporto dei covoni nell'aia per la trebbiatura, trasporto che avveniva su enormi slitte trascinate da buoi chiamate "STRAGOLE".
Il lavoro iniziava la mattina presto con le stelle e finiva la sera sempre con le stelle.
Tutte queste persone, gerarchicamente disciplinate, dipendevano dal Sovrastante, che prendeva ordine dal Gabelloto.
Il proprietario assenteista, viveva in città, non si interessava della vita del feudo, aveva solo il rapporto con il gabelloto, che gli portava a casa l'ammontare dell'affitto (Gabella), una volta l'anno, oppure durante l'anno se il proprietario era a corto di quattrini, o se gli chiedeva un favore per qualche "sgarbo,, ricevuto, a cui il gabelloto provvedeva con le sue conoscenze.
La seconda categoria di proprietari era costituita da persone che si occupavano delle proprie terre direttamente, dei borghesi ex gabelloti, grossi professionisti ereditieri, qualche aristocratico "ILLUMINATO". La gerarchia era la stessa perché anche loro si servivano di Sovrastanti e Campieri in odore di mafia, essendo essa parte integrante della società feudale.
Questa era la situazione sino alla metà degli anni '40.
La mafia agricola era parte integrante di questa società, in una terra dove per mancanza di strade, di collegamenti telegrafici, per non parlare di quelli telefonici, l'unico mezzo di trasporto e di collegamento era il cavallo, il mulo, l'asino o il carro agricolo; i latitanti, i briganti avevano il loro regno nel feudo, la loro morte e la loro cattura era decisa dai campieri della zona, poiché la mafia, quando non servivano più per i suoi scopi, li mollava.
Nel feudo la terra veniva divisa in tre lotti, una era la parte incolta, riservata al pascolo permanente per la pastorizia, la parte più fertile era riservata per il Gabelloto, il padrone o per dei subaffittuari privilegiati, amici degli amici, la parte restante veniva data ai mezzadri permanenti o annaruoli. Nelle terre
concesse a mezzadria veniva utilizzata la coltura triennale, una parte era seminata a grano, una parte a leguminose e foraggiere, una parte era lasciata a pascolo per far riposare la terra; ogni anno i Mezzadri erano costretti a ruotare e sopportare tutte le angherie e le discriminazioni del Sovrastante.
La Mezzadria e la piccola affittanza erano stabili nelle piccole e medie proprietà, specialmente vicino ai paesi ove la proprietà era più frazionata.
Nella Provincia di Enna l'economia trainante era, ed in parte è ancora l'agricoltura; i Mezzadri, i piccoli Fittavoli ed i Braccianti (coloro che possedevano le sole braccia e la zappa) erano la stragrande maggioranza della popolazione. Erano categorie al limite della sopravvivenza, la miseria era molto diffusa nelle "case" di questi lavoratori, molti vivevano nelle campagne in case fatte di muri a secco e tetti di paglia.
Nel 1935 il fascismo si pose il problema del latifondo, ed il regime, diede vita all'Ente per il Latifondo Siciliano, costruendo dei Borghi Agricoli in zone latifondiste, forniti di scuole rurali, uffici postali, caserma, chiesa e casa del fascio. cercando di portare in questi borghi la scuola, la legge, i servizi, la fede.
Stipulando convenzioni con i proprietari, il fascismo affrontò anche il problema della colonia (infatti i Mezzadri si chiamarono Coloni), tenendo presenti le leggi dell'economia e la necessità di radicare il colono nelle campagne.
Vennero così lottizzati parte dei feudi in lotti di terreno di almeno 20Ha, vennero costruite delle solide case coloniche, con abitazioni, stalle, magazzini e
servizi igienici, il terreno però rimaneva al proprietario e quindi non veniva espropriato, vennero stipulati contratti di colonia con alcuni obblighi per il proprietario. Questi doveva anticipare gli animali e le derrate, lo Stato interveniva con prestiti per aiutare il colono ed ammortizzare nel tempo gli aiuti iniziali per fare decollare l'azienda. I Coloni che riuscirono ad ottenere una colonia ebbero aiuto e assistenza dell'Ente, diventarono contadini privilegiati e molti cambiarono le loro condizioni economiche. Quello fu il primo intervento sul latifondo.
Dirigente dell'Ente per il Latifondo Siciliano fu un grande tecnico, l'Ing. Mario Ovazza che, approdato dopo la guerra al movimento contadino, spese tutte le sue energie nel sindacato e nell'Assemblea Regionale di cui fu deputato.


II rapporto societario tra la proprietà, il mezzadro, l'affittuario

Sul Mezzadro "ROTANTE" gravavano molti oneri e balzelli.
Al Mezzadro veniva assegnato un pezzo di terra, in rapporto alle braccia possedute e al numero di animali, quasi sempre muli e asini. Se il contadino possedeva un solo animale faceva coppia con un altro nelle sue stesse condizioni onde procedere all'aratura e alla semina, in gergo contadino si chiamava "à spadda a renniri", (la spalla a rendere); se il contadino possedeva un paio di muli era fortunato perché non faceva coppia con nessuno.
I piccoli e medi proprietari, non coltivatori, fornivano ai mezzadri casa e buoi con contratto a"SOCCIDA" .
La Soccida era un contratto tra il Proprietario e il Mezzadro, il primo comprava buoi, il secondo li custodiva, li faceva lavorare. si occupava della produzione, alla fine quando venivano venduti il Proprietario prelevava il capitale anticipato, il guadagno veniva diviso a metà.
Nella grande proprietà, al Mezzadro veniva anticipato il seme e i concimi, durante l'inverno moltissimi chiedevano di avere anticipato del grano per sfamarsi, il cosiddetto "SUCCURSU" .
Sin dalla fine dell'Ottocento, in molti comuni siciliani, sotto la spinta delle lotte sociali (vedi fasci siciliani-1892), su iniziativa di parrocchie, organizzazioni cattoliche e movimento socialista, proliferarono le cooperative di Mutuo Soccorso e Monte Fromentario, per soccorrere i contadini bisognosi, con prestiti a bassi interessi, sempre in natura.
Ogni anno venivano assegnati al mezzadro da 2 a 3Ha di terreno, qualcosa in più era dato a quelli che abitavano permanentemente nei dintorni della Masseria, nei grandi "pagliai" , mentre la maggior parte dei mezzadri la sera ritornava in paese, esclusi i periodi di aratura, semina e mietitura, quando i mezzadri pernottavano nella Masseria, alloggiando, insieme agli animali, nelle grandi stalle, dove mangiavano e dormivano per settimane intere.
Durante l'anno bisognava procedere alla zappettatura, scerbatura, mietitura con il falcietto a cui in alcuni paesi, partecipavano anche le donne, al trasporto dei covoni nella spianata di raccolta, alla trebbiatura che avveniva con animali, e infine alla pulitura del grano, che avveniva a mano e sfruttando il vento.


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