Il quartiere da Chiazza - Il Campanile Enna

Vai ai contenuti

Il quartiere da Chiazza

Storia di Enna > Microstoria
post inserito il 3 luglio 2017, © testo e ricerche di Rocco Lombardo, foto d'epoca e © foto di Federico Emma, Paolo Mingrino, Luigi Salamone. Editing Federico Emma. E' consentito utilizzare contenuti e foto citando la fonte.



'U Quartiri  d
â
Chiazza
di Rocco Lombardo
‘A CHIAZZA
...il luogo dove si fa mercato...

Il vocabolo dialettale “chiazza” a prima vista pare rimandare all’italiano “piazza” ma consultando i vocabolari siciliani di ieri e di oggi  apprendiamo che questo luogo nel nostro vernacolo è definito più propriamente col termine “chianu”, indicante uno spiazzo in genere ampio e pianeggiante.
A Enna, pertanto, abbiamo “ ’u chianu ’i San Francì”  per indicare l’attuale Piazza Vittorio Emanuele II, “ ’u chianu dâ Matrici” per designare la Piazza Duomo ( o più esattamente Piazza Mazzini); “ ’u chianu di Casi Granni” per individuare la Piazza Umberto I, un tempo detta Piazza Lincoln e, comunemente, Piazza Municipio perché vi prospetta, attorniato da maestosi grandi palazzi signorili, il Palazzo Municipale, sorto nei primi decenni dell’Ottocento e ospitante il Teatro Comunale inaugurato nel novembre 1872.
E, ancora a Enna, tra la gente ricorrono come denominazioni toponomastiche popolari “ ’u chianu â Cìcira”, “ ’u chianu î prucini”, banalizzate in Piazza Cicero e Piazza Pulcini, “ ‘u chianu ‘i Sant’Orsola” , indicante la zona del Belvedere, e altri esempi di piazze definiti “chiani”.
“ ‘A chiazza” , invece, serve a denominare un sito urbano, fatto di case, viuzze, slarghi, dove si svolge quotidianamente il mercato: ce lo testimoniano diversi dizionari, da quello settecentesco di Michele Pasqualino pubblicato a Palermo, a quelli editi a Enna nel 1997 e nel 2000 dai concittadini Angelo Varelli e Mariano Fondacaro (1).  
Varelli identifica “ ’a chiazza” con una “ strada completamente costituita da botteghe, soprattutto di alimentari”, e aggiunge che il modo di dire, ormai in disuso, “Stasira stamu  â chiazza” significava, con un  eufemismo garbato,  “Stasera ci sunu cazzi”. Fondacaro in maniera laconica e generica spiega il termine “chiazza” come “luogo dove si fa mercato”, senza fare esplicito riferimento al mercato di Via Sant’Antonio, come invece puntualizza opportunamente Varelli.
E proprio di questo mercato, delle caratteristiche figure di venditori che lo vivacizzavano, della variegata folla di avventori che lo frequentava, della tipica atmosfera che sprigionava, Salvatore Presti ci lascia un vivido ricordo intitolato “ ‘A Chiazza, putìi e putiara” nel suo libro del 2013  Enna, il filo della memoria (2).  

A sua volta Luigina Gagliano nel libro La cucina popolare dell’ennese, scritto in collaborazione con Rocco Lombardo e pubblicato nel 2016 (3),  basandosi su ricordi personali e aneddoti familiari, nel suo variegato racconto intriso di lammìcu nostalgico ci conferma  che a Enna “ ’a chiazza” coincide con Via Mercato Sant’Antonio” e che esso, anzi,  si identifica col “nostro mercato per antonomasia”, di cui nelle affabulanti pagine sono evocate voci e pratiche,  fragranze e immagini ormai perse irrimediabilmente.

In effetti questo mercato oggi si è ristretto alla Via Mercato Sant’Antonio ma “ ’a chiazza” di una volta comprendeva pure la Via Franco Longo, parte di Via Candrilli, le viuzze Restivo e San Giuseppe, una parte della Piazza Ghisleri, un tratto di Via San Girolamo e di Via Sant’Agrippina e quello, caratteristico, di Via Roma adiacente al Palazzo Municipale, noto come “ ’a sciata ê scarpara”,  le cui botteghe artigiane furono demolite nei primi decenni del Novecento per allargare la principale arteria cittadina, Via Roma, di cui formava un tratto, parallelo  alla Via Mercato Sant’Antonio propriamente detta.
Chiesa della Addolorata                 
Cinema GRIVI
Municipio
La via Mercato Sant'Antonio prende nome da una Chiesa dedicata appunto a Sant’Antonio, che da documenti archivistici risulta ospitare, nei secoli XVII e XVIII, la Confraternita della SS. Misericordia (4) e che è significativamente specificata “de la Plaza”, a sentire Giuseppe Candura, che però avvicina il termine più che a “chiazza”, come comunemente dovrebbe intendersi, al vocabolo “Plaza”, alludente alla Plaza Mayor che indicava spagnolescamente il “chianu” delle Case Grandi (5).

Esistente fino al 1878, quando fu demolita per far posto a palazzi signorili, che ne custodiscono ben celato qualche antico segno architettonico, la chiesa di Sant’Antonio conservava sul muro esterno “una colonnetta  con una scannellatura che indica la “canna”, misura lineare del tempo”.
Ce lo riferisce Paolo Vetri nel suo opuscolo del 1877 Monumenti storici esistenti in Castrogiovanni in cui ci informa che essa vi era stata trasportata “dalla chiesa di San Giovanni, ove si conservavano tutte le misure, la quale serba quella lineare di Sicilia che nelle emergenze si consultava”.(6) Le “emergenze” consistevano nelle eventuali controversie che potevano sorgere fra i contraenti, per i quali essa diveniva un sicuro, legale e autorevole punto di riferimento sul valore delle misure vigenti a Enna ( “parmu”, “canna”, “munniddu”, “quartaruni”, “quartucciu” …), che nei tempi andati differivano da quelli in uso in altre località isolane, secondo una consuetudine siciliana diffusa e inveterata.
Oggi, provvidenzialmente scampata alla dispersione, la “colonnetta” è  esposta, assieme ad un’altra d’incerta provenienza, nel cortile del Museo Alessi e di essa ancor prima del Vetri ci ha lasciato il ricordo Giovanna Power Villepreux   (1794- 1871) nella sua Guida per la Sicilia edita  a Napoli nel 1842 scrivendo così, con esplicito richiamo alla Chiesa di Sant’ Antonio:

“ Nel muro esterno, a settentrione, si trova una colonna, che serba le misure lineari di Sicilia. Ove sorgano questioni a proposito di riforma, le deputazioni elette prendono tale colonna per norma. Così avvenne allorché si formava il codice metrico di Sicilia: questa colonna si crede essere opera degli antichi Re Svevi, che abitavano Castrogiovanni”.(7)
Ma la chiesa di Sant’Antonio per la sua centralità assumeva rilevanza specialmente nelle cerimonie e ricorrenze di carattere civico. Paolo Vetri ci ricorda che nel 1666, in occasione della morte del sovrano Filippo IV (1605-1665) e dell’acclamazione del successore Carlo II (1661-1700), ancora infante, “ addossato alla chiesa di Sant’Antonio Abate rizzavasi un ripiano con scalinata, sormontato da un gran padiglione sostenuto da colonne costituenti dei portici, adornate di velluto cremisi con trine inargentate, nel cui fondo stava un magnifico tosello, col ritratto del nuovo principe coverto da un velo di taffetà”.
Sontuoso apparato scenico  vivacizzato dalla presenza di gran folla di popolo e da scelti stuoli di aristocratici cittadini, dei magistrati civici e  da “soldatesca in tenuta di gala”.(8)
Un ruolo civilmente prestigioso che la chiesa mantenne anche nel Settecento, quando durante le cerimonie della Settimana Santa Giuseppe Candura, riallacciandosi a Salvatore Morgana, ci ricorda che, istituito nel 1714 dal Vicerè sabaudo conte Annibale  Maffei e soppresso nel 1783 da quello borbonico il marchese Domenico Caracciolo,
“il Collegio dei Rettori si recava per l’Ora di adorazione in Duomo la domenica mattina muovendo dalla chiesa di sant’Antonio de la Plaza Mayor”.(9)

Mappa Catastale 1877
1 Sant' Antonio - Chiesa Addolorata
Edificio costruito sul sito della Chiesa
Il così importante tempio, di cui si conserva il grande quadro del santo eponimo collocato sull’altare sinistro del transetto dell’ex chiesa conventuale di San Domenico, faceva da quinta da un lato alla via del mercato, che era delimitata dall’altro lato dalla chiesa di San Benedetto. Era una zona ricca di chiese, questa, grandi e piccole, tra cui: la chiesa di San Giuseppe, di cui persiste ancora la sacrestia ora adibita a cartoleria, che ospitava le Confraternite di San Giuseppe e Santa Apollonia, la cui statua è custodita pure a San Domenico, oggi sede parrocchiale del demolito tempio di San Giovanni Battista, rilevante nella vita della collettività ennese perché in esso si riunivano nei secoli passati le adunanze civiche e scomparso a cavallo fra ‘800 e ‘900 perché pericolante, mantenendo a suo ricordo la torre-campanile d’epoca normanna restaurata agli inizi del Novecento; la chiesa dell’Addolorata, che funge da oratorio alla relativa Confraternita, che ne mantiene il decoro con impegno. E, poco distante, la chiesa monastica di San Marco, la più importante della contrada “Judeca”, dove sorgevano pure le chiese dedicate a Sant’Agrippina e a San Girolamo.
Sant'Antonio Abbate   
(Chiesa di San Giovanni
già San Domenico)
Santa Apollonia
(Chiesa di San Giovanni già San Domenico)
Fonte battesimale della originaria
Chiesa di San Giovanni
La zona era sin dai secoli passati  ricca non solo di chiese ma soprattutto, ovviamente, di botteghe e taverne, di trattorie e osterie, di bettole e rosticcerie, e, naturalmente, di locande…C’erano fornite pescherie, diverse macellerie, qualche negozio di tessuti, tante putìi di generi alimentari, e, negli anni ’40 del Novecento, una rinomata “caffetteria”, situata a metà di Via Candrilli e gestita da donna Filippa Greca (1873-1945), un’abile cuoca capace di allestire banchetti a domicilio preparati con accuratezza e professionalità tali che le venne attribuito il titolo di “monzù”, riservato nei tempi andati solo ai cuochi più esperti delle famiglie signorili.(10)
Un altro personaggio legato a questa un tempo frequentata e vociante zona urbana è  lo scrittore Nino Savarese (1882-1945), che in una casa di Via San Giuseppe ebbe i natali, come ricorda una lapide apposta sulla facciata;

Un altro ancora è il cardinale John Henry Newman (1800-1890), occasionalmente dimorante in uno degli accoglienti palazzi di Via Restivo, intitolata ad una agiata famiglia, un cui esponente, Luigi, vi teneva aperta una locanda di buon livello. Da presbitero anglicano, proveniente da Leonforte e diretto a Palermo, salì a Enna (allora Castrogiovanni) nel marzo del 1833. Il suo soggiorno fu disturbato da una febbre, forse tifoide, contratta già da alcuni giorni proprio a Leonforte, che seguitò ad angustiarlo per tutto il periodo della sua permanenza ennese. Nei suoi scritti, ricorda le premure ricevute da quel Luigi Restivo che l’ospitava riservandogli tante cure e delicatezze, comprese le visite di un medico, che si faceva intendere parlando in latino, la somministrazione di cibi genuini e bevande corroboranti (pizze, brodi, camomille, limonate…) e l’esibizione di alcuni musici, destinata a sollevargli lo spirito.
Il vocio dei commercianti e dei clienti, il frastuono dei carri, lo schiamazzo dei venditori,  infastidiva il suo corpo prostrato dalla malattia, così come turbava il suo spirito affranto il suono quasi continuo delle campane delle numerose  chiese vicine e di quelle poco più distanti di San Domenico, di San Marco e della Maddalena, oltre che della Chiesa della Concezione, annessa al monastero delle Ree Pentite e da lì a qualche decennio destinata con esso alla demolizione. Quante chiese (molte oggi scomparse)  in una piccola ma centralissima zona della città! Troppe per lui, che era un presbitero anglicano e che però, proprio durante il suo soggiorno a Leonforte ed Enna, riconobbe il germe, come ebbe a ricordare nei suoi scritti, della conversione alla religione di Santa Romana Chiesa, nel cui seno entrò nel 1845  riuscendovi a divenire Cardinale.
Una lapide commemorativa da sistemare nel quartiere ’A Chiazza farebbe conoscere questo illustre personaggio, ammirato da vari pontefici, tra cui papa Giovanni Paolo II che nel 1991  ne decretò l’eroicità delle virtù dichiarandolo Venerabile e papa Benedetto XVI che nella cerimonia di beatificazione avvenuta nel 2010 stabilì la ricorrenza liturgica fissandola al 9 ottobre, anniversario della conversione  al cattolicesimo.
Il beato Newman nei suoi scritti ripetutamente ebbe parole di elogio per l’affabilità degli ennesi e per la gradevolezza di Enna, nei cui vicoli fervidi di vita e risuonanti di banniatine, strilli e canti, intravide quella che lui chiamò “la Luce” destinata a convertirlo e a cui dedicò una lirica, Guidami, luce gentile,  appena salpato da Palermo, nel giugno 1833, per fare ritorno in Inghilterra.
Difatti considererà sempre l’esperienza della malattia vissuta in quei giorni di maggio 1833 a Leonforte e a Castrogiovanni, ovvero Enna, come una delle tappe più significative del suo cammino verso la comprensione del Mistero divino, quando febbricitante soleva ripetere “Io non ho peccato contro la Luce”, materializzata in quella limpida di un sereno maggio siciliano che quasi un decennio dopo lo porta ad entrare nella Chiesa Cattolica e che gli ispirò quei versi già toccanti nell’invocazione iniziale, Lead, kindly Light, simili a struggente preghiera e scaturiti da momenti dominati dalla febbre, in bilico tra la vita e la morte, e scritti il 16 giugno 1833, su una nave salpata da Palermo, pronto a tornare, rigenerato, in Inghilterra,
E’ la preghiera di chi è tornato a nuova vita e anela a viverla fino in fondo, la preghiera che ognuno di noi si sente di condividere perché nella sua universalità ispira quella speranza e dona quel conforto di cui tutti sentiamo il bisogno:
Guidami Tu, Luce gentile,
attraverso il buio che mi circonda,
sii Tu a condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii Tu a condurmi!
Sostieni i miei piedi vacillanti:
io non chiedo di vedere
ciò che mi attende all’orizzonte,
un passo solo mi sarà sufficiente.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora,
né ho pregato che fossi Tu a condurmi.
Amavo scegliere e scrutare il mio cammino;
ma ora sii Tu a condurmi!

Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura,
il mio cuore era schiavo dell’orgoglio;
non ricordare gli anni ormai passati.
Così a lungo la tua forza mi ha benedetto,
e certo mi condurrà ancora,
landa dopo landa, palude dopo palude,
oltre rupi e torrenti, finché la notte scemerà;
e con l’apparire del mattino
rivedrò il sorriso di quei volti angelici
che da tanto tempo amo
e per poco avevo perduto.
Via Mercato: foto storiche
Manifestazione davanti alla Casa del Fascio, l'attuale Palazzo Comunale
Chiesa di San Giuseppe, sulla via Roma il fabbricato demolito per edificare  il Palazzo delle Corporazioni
La strada dei Scarpara, botteghe adiacenti al Teatro, demolite per allargare la via Roma
Chiesa della Addolorata
Torre di san Giovanni
(prima del restauro)
Torre San Giovanni
foto attuale

Retro del Palazzo comunale e
Torre di San Giovanni

Torre di san Giovanni
la cupola
a dx la volta del primo piano


La sacrestia della scomparsa
Chiesa di San Giuseppe
(per notizie sulla antica chiesa di San Giuseppe vai a)


Piazza Ghisleri


Cinema GRIVI

Via Mercato Sant'Antonio con le istallazioni  "MUTAZIONI"







Chiesa di San Benedetto,
attuale Chiesa di San Giuseppe

1 Angelo Varelli, L’Ennese, parole, frasi, aneddoti…, Papiro Editrice, Enna 1997, p.60; Mariano Fondacaro, Vocabolario del dialetto ennese,Editrice Il Lunario, Enna 2000, p.121.
2 "‘A Chiazza, putìi e putiara” in  Salvatore Presti, Enna, il filo della memoria, Edizioni NovaGraf, Assoro 2013, pp.136-137.
3 Luigina Gagliano Lo Iacona, Rocco Lombardo, La cucina popolare dell’ennese. Sapori, profumi, aromi, spezie e … non solo, La Moderna Edizioni, Enna 2016, p.83, p.33.
4 Vedi in ASEN Vol. 92, atto del 2-4-1642; Vol, 1241, minuta del 28-9-1674; Vol. 195 atto del 6-8-1792.
5 Giuseppe Candura, Storia di Sicilia. Enna-Castrogiovanni Urbs Inexpugnabilis. Ed. Rotary Club Enna,1979, p.203.p.217.
6 Paolo Vetri, Monumenti storici esistenti in Castrogiovanni, Tipografia Municipale D. Pagano, Castrogiovanni 1877, pp.22-23.
7 Giovanna Power nata Villepreux, Guida per la Sicilia, Stabilimento Poligrafico di Filippo Cirelli, Napoli 1842, p. 147 (consultata nella ristampa anastica curata da Michela D’Angelo per Perna Edizioni, Messina 1995), alle cui affermazioni si ricollega Gioacchino Di Marzo ( citando però la chiesa come “di Sant’Antonino”), allorché stampa a Palermo presso Morvillo nel 1855 il Primo Volume (p.393) del Dizionario topografico della Sicilia del settecentesco Vito Amico che andava traducendo e annotando.
Sulla figura della scienziata franco-inglese vedi il profilo tracciato da Erminia Indelicato e Rocco Lombardo in Storie di Donne nella Storia di Enna, La Moderna edizioni per conto di C.I.S.I Onlus,  Enna 2016, Vol. I, pp.61-68. Una delicata e complessa riforma delle varie e numerose misure vigenti in Sicilia ( di lunghezza, superficie, volume, peso e capacità per liquidi e aridi), argomento ancora di attualità al tempo della studiosa per lo strascico di polemiche e confusione che originò, fu avviata sin dagli anni 1806-1808 da Ferdinando III (1751-1825), dal 1816 denominato Ferdinando I delle Due Sicilie, che incaricò una commissione di studiosi capeggiata dall’astronomo valtellinese Giuseppe Piazzi (1746-1826), celebre per aver scoperto il 1 gennaio 1801 dall’Osservatorio di Palermo un nuovo astro che denominò Cerere Ferdinandea, di creare un sistema unico e di realizzare le tabelle di conversione per le antiche unità in uso. Le misure prese in considerazione dal Piazzi si riferivano a sette città siciliane, scelte come campione indicativo: Palermo, Messina, Lipari, Caltagirone, Acireale, Girgenti e Castrogiovanni.
8 Paolo Vetri (1826-1891), Storia di Enna, 2 Voll., Ed. Ila Palma, Palermo 1978, Vol. I, p.177. Il re spagnolo Filippo è nel passo del Vetri erroneamente titolato III.
9 Giuseppe Candura, op. cit., p.217.
10 Erminia Indelicato, Rocco Lombardo, Storie di donne nella storia di Enna, La Moderna  Edizioni, Enna 2016, pp.113-116.
Torna ai contenuti