Cori Cori U lacu mori - Il Campanile Enna

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Cori Cori U lacu mori

A letteratura du Campanaru > Angelo Signorelli

CORI CORI... U LACU MORI!!!

di Angelo Signorelli


Favola ecologica dalla quale è stato tratto un adattamento teatrale, felicemente rappresentato in due giornate, nel mese di giugno del 1996, da oltre 120 alunni del III circolo didattico, plesso FUNDRISI, al Teatro GARIBALDI di Enna.

GLOSSARIO
(Per una più tacite comprensione del testo)

  • Cori: forma dialettale di Kore (Persefone- Proserpina) Dea della Primavera. Figlia di Ccrere, fu rapita da Plutone mentre raccoglieva fiori sulle rive del lago di Pergusa. Per concessione di Giove, ritorna ogni anno sulla terra a portare la primavera.

  • Cori, Cori Cori...: caratteristica locuzione ennese che esprime preoccupazione, apprensione, timore. Mazzamurru: piccolo pesce d'acqua salmastra che abbondava nel lago di Pergusa e dal quale traevano nutrimento alcune specie di uccelli acquatici.

  • 'affetto: piccolo uccello acquatico simile allo svasso.

  • Zagara: infioreseenza degli aranci.

  • Mustazzoli: tipico dolce siciliano.

  • Rocca di Cerere: rupe rocciosa che rappresenta il punto più alto di Enna(m.1100 s.l.m.). Secondo la mitologia, era abitata da Cerere (Demetra), dea delle messi e madre di Kore.


CORI CORI... U LACU MORI!!!

Nel silenzio dell'ultima ora della notte, quella strana litania rivolta alla dea Cori echeggiava nella conca del lago, come un triste lamento disperato.
- Cori Cori... - da più di un'ora risuonava, con monotona cadenza, la tonante voce di Capituni.
- Cori, Cori Cori... - rispondevano in coro armonico gli altri folletti, comodamente accovacciati attorno alla pozzanghera melmosa: l'unica traccia rimasta di quello che per secoli e secoli era stato il più bel lago della Sicilia.
I misteriosi folletti Salvalachi avevano passato l'intera giornata nascosti nel piccolo canneto, tappandosi le orecchie con le mani per attutire l'infernale frastuono prodotto dagli scarichi dei potenti bolidi che sfrecciavano sull'asfalto dell'autodromo. Verso sera, quando tutta la gente era andata via, nell'aria era rimasto un acre odore di olio di ricino bruciato, frammisto all'invisibile polvere di gomma che rendeva difficoltosa la respirazione. Il laborioso popolo dei Salvalachi dava ora inizio all'ingenuo e fantasioso progetto: riempire il lago, ormai completamente prosciugato, portandovi l'acqua dal lontano mare.

L'impresa, senza alcun'ombra di dubbio, era una chimera ma, d'altra parte, rappresentava l'ultimo tentativo rimasto ai simpatici folletti.
Fu adoperato qualsiasi contenitore atto a trasportare il prezioso liquido (erano state raccolte tutte le bottiglie e i sacchetti di plastica abbandonati dagli spettatori e dai turisti lungo i bordi della pista e sulle gradinate) e i più piccoli usarono i bicchieri e le mele acerbe accuratamente svuotate.
Ma la distanza dal mare era notevole e, in tutta la nottata, erano riusciti a fare un solo viaggio, col risultato che ognuno può immaginarsi! Ben presto si erano resi conto dell'assurdità di quel progetto ed ora, disperati e distrutti per l'insuccesso più che per la fatica, si rivolgevano alla Dea con quella strana preghiera: - Cori Cori... Cori, Cori Cori...
Alla fine prese la parola Mazzamurru, il capo di tutti i folletti:
- Amici, nella mia funzione di capo, sento il dovere di ringraziarvi per ciò che avete fatto, con spontanea e generosa partecipazione, nel vano ed ultimo tentativo di salvare il lago, a noi tutti tanto caro. Purtroppo, ogni nostro sforzo è risultato inutile ed ora non ci resta che riconoscere la nostra impotenza a trovare una soluzione. Con gran dolore devo comunicarvi la mia ultima decisione: non ci resta altro da fare che abbandonare il lago per poter sopravvivere!
- Abbandonare il lago?!... Ma neanche per scherzo! - intervenne, a voce alta e con tono risoluto, Rosmarino, un giovane folletto noto a tutti per il suo carattere impulsivo.
- Nessuno di noi vorrebbe andar via da questi luoghi dove abbiamo vissuto felicemente da diversi millenni! - interruppe prontamente, ma con voce calma e pacata, Serafino, il più anziano del popolo dei Salvalachi. - Purtroppo, bisogna ammettere che ormai qui la vita è diventata impossibile; l'aria è irrespirabile per il fetore emanato dalle alghe in putrefazione; scarseggia il cibo dal quale noi ricaviamo nutrimento e il canneto, ormai diminuito e quasi secco, non è più per noi sicuro rifugio.
- Io da qui non mi muovo! - riprese a parlare, ma con voce ora più calma Rosmarino. - Rimarrò qui, dovessi morire di peste!
Prese ora la parola Tuffetto, il più abile nuotatore della colonia dei folletti:
- Io sono pienamente d'accordo con Rosmarino! Troppi ricordi mi legano a questi luoghi meravigliosi - disse, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. - Chi di noi non ricorda il tempo della nostra infanzia quando felici scorrazzavamo, nelle limpide acque del lago illuminato dai raggi di luna, a cavalcioni dei germani e delle folaghe?
- Tutti abbiamo lieti e piacevoli ricordi! - interruppe Cappero, il folletto dagli occhi rossi e scintillanti. - Io mi divertivo un mondo a cercare le nidiate delle gallinelle d'acqua, nascoste tra i canneti. Quante volte ho rimesso nei nidi le uova cadute in acqua! E poi, era un vero spettacolo assistere alle prime impacciate nuotate dei goffi pulcini appena nati!
- E i fiori? - intervenne Zagara, la più civettuola delle femmine. - Vi ricordate quant'era bello raccogliere i fiori profumati che crescevano spontanei lungo le rive del lago?
- Bando ai ricordi! - interruppe bruscamente il capo - Chi di noi non ha felici ricordi della vita serena che abbiamo trascorso in questi luoghi meravigliosi? I ricordi sono belli ma appartengono al passato! Purtroppo, ora le cose sono radicalmente cambiate e la triste realtà è presente, innanzi ai nostri occhi, col suo squallido grigiore! Non si può vivere di ricordi!
Entrò nel dibattito Ficodindia, un anziano folletto dal carattere scontroso ma da tutti ritenuto un saggio per le sue ponderate decisioni:
- Sono pienamente d'accordo con il nostro capo! Qui la vita è diventata veramente impossibili; e lo sarà sempre di più! Non dimentichiamo il grave pericolo che incombe su questo lago, ormai trasformato in una palude malsana e inospitale: il ritorno dei famigerati vampiri dell'aria. I più anziani di noi ricordano, con precisione indelebile, il triste periodo in cui questi luoghi erano invasi da quei terribili mostri.
In quella triste circostanza, la nostra stirpe fu decimata: rischiammo la totale estinzione della nostra specie. Per fortuna, vennero in nostro aiuto i provvidenziali serpenti d'acqua che, divorando le loro larve, sterminarono i nostri terribili nemici.
Quelle parole scatenarono il panico in tutti i presenti. Anche i più giovani avevano sentito parlate del triste periodo della malaria e delle sue nefaste conseguenze. Seguì un animato dibattito ma, alla fine, tutti furono d'accordo con la decisione del capo.
- Andiamo via immediatamente! - urlò un folletto.
- Andiamo via! - urlarono in coro tutti gli altri.
Stavano per iniziare i preparativi al grande esodo, quando improvvisa apparve in cielo una gigantesca sfera luminosa. Sembrava stesse sospesa sopra la lontana rocca di Cerere e, col suo bagliore, illuminava a giorno tutta la terra.
I folletti, esterrefatti, osservavano, con curiosità mista a sgomento, quello strano fenomeno, immobili e ammutoliti come tante statuette di terracotta.
Dopo qualche attimo, la misteriosa luce cominciò a muoversi nella loro direzione. Man mano che si avvicinava, perdeva luminosità e assumeva le sembianze di un grande uccello.
Alla fine, planando leggiadro come una piuma, un maestoso cigno bianco si posò nella pozzanghera, in mezzo a loro. I folletti cominciarono a scappare, urlando come forsennati, in direzioni diverse.
- Fermi tutti! - ordinò il nuovo airivato. - Nessuno osi lasciare questi luoghi, senza prima avermi ascoltato! La vostra è una decisione non degna della nobile stirpe alla quale appartenete. Vi ho sempre considerato un popolo di coraggiosi e, con grande commozione, ho ammirato il vostro ultimo, disperato e ingenuo tentativo di riempire il lago con bicchieri, barattoli e bottiglie. Ma ora devo ricredermi sulla buona impressione che avevo di voi. Siete fifoni, egoisti e codardi! Fate semplicemente pena!
- Come ti permetti di parlar così di noi? Chi sei tu che osi giudicare i nostri saggi propositi? - intervenne, con voce decisa, Ficodindia.
- Chi io sia non ha importanza alcuna! - proseguì il cigno. - E, in quanto alle vostre decisioni, ho seri e motivati dubbi che siano sagge.
Ma avete pensato al gran dolore che procurerete a Cori quando, in primavera, ritornerà in questo lago così malridotto e abbandonato dai suoi amici più cari?
- Quel che tu dici è giusto, - intervenne, mortificato Mazzamurru,
- ma la nostra decisione è scaturita dall'impotenza a far qualcosa: ogni nostro tentativo è risultato inutile! Sei forse tu in grado di darci qualche utile consiglio?
- Posso assicurarti che ognuno di noi è disposto a sacrificare la propria vita, pur di salvare questo lago a noi tanto caro. E sia ben chiaro... non per nostro tornaconto, ma per amor di Cori, la nostra Dea protettrice, alla quale noi tutti vogliamo un gran bene!
- Con calma e precisione, il cigno spiegò ai folletti la vera causa per la quale il lago era destinato a scomparire: la mancanza d'acqua era dovuta al fatto che i Mustazzoli, un popolo di gnomi cattivi e perversi, avevano trovato il sistema di prosciugare le vene acquifere che ali-mentavano il lago. Dopo aver individuato le falde, praticavano nel terreno profondi fori e, usando le canne di bambù, portavano in superficie l'acqua che poi veniva inutilmente sperperata.
- Così, in breve tempo, non più alimentato, era cominciata la lunga agonia del lago.
- I Salvalachi conoscevano alla perfezione il famigerato popolo dei Mustazzoli che abitavano lungo le alture che circondano il lago, ma avevano tenuto sempre le debite distanze, un po' per paura, un po' per evitare gli inevitabili litigi dovuti ad un'impossibile convivenza. ... Ora, esasperati per la rabbia e incoraggiati dal cigno, urlarono in coro:
- - A morte i malefici gnomi ! Guerra ai Mustazzoli !
- No, no!!! - intervenne prontamente il cigno, cercando di riportare la calma. Non avete capito un bel niente! Non è con la violenza che si risolvono le cose! La guerra porta soltanto lutti e distruzione, non benessere. Bisogna agire d'astuzia! Prenderemo l'acqua più a monte, direttamente dalla grande sorgente. Una squadra di talpe traccerà il percorso da seguire: sarà poi compito dei conigli selvatici scavare le grosse condutture che porteranno il prezioso liquido nel lago. Frattanto voi vi adopererete per una radicale pulizia del fondo: raccoglierete tutte le alghe marcite e, con l'aiuto delle tortore e dei pas seri, eliminerete tutti i velenosi pallini di piombo sparati dai ca
cciatori nel passato ed ora, a quintali, depositati sul letto melmoso. Bisogna rimuovere radicalmente qualsiasi fonte d'inquinamento e di eutrofizzazione che minaccia seriamente la vita della flora e della fauna!
Il compito di raccogliere tutti i semi e i bulbi delle piante rimaste lungo la riva e nel terreno circostante, sarà affidato alle femmine e ai più giovani di voi.
I Salvalachi avevano ascoltato in silenzio, e con molto interesse, il dettagliato piano d'intervento suggerito dal cigno.
Alla fine prese la parola Rosmarino:
- Le tue parole mi sembrano sagge e riempiono di speranze i nostri cuori. Ritengo di potere assicurare l'unanime consenso al tuo sensato progetto, da parte di tutto il mio popolo.
- Siamo tutti d'accordo! - esclamarono in coro i folletti. Diamoci da fare e non perdiamo altro tempo!
Lavorarono sodo e senza sosta, notte e giorno, per tutto l'inverno. Alla realizzazione di quell'opera ciclopica, parteciparono tutti gli animali della Sicilia. Ripulirono dalle erbacce e rassodarono tutto il terreno attorno al lago, sparsero i semi, precedentemente raccolti, sulla terra resa particolarmente fertile dai loro naturali escrementi.
Ultimati i lavori di scavo delle condutture, l'acqua cominciò a scorrere limpida e abbondante. Fu affidato ai cani randagi della zona il difficile compito di proteggerla dai Mustazzoli: era uno spettacolo divertentissimo vedere quei prepotenti gnomi presi a morsi rabbiosi ogni qual volta si avvicinavano alle condutture dell'acqua. Alla fine diversi di loro finirono con i calzoni ridotti a brandelli e qualcuno rimase addirittura senza polpacci.
Dopo poco tempo, i malvagi, sconfitti e umiliati, presero la saggia decisione di abbandonare per sempre quei luoghi, diventati per loro troppo pericolosi e inospitali.
Agli inizi di febbraio, quando i mandorli erano già ricoperti di fiori, sotto l'esile manto di neve che si scioglieva lentamente riscaldato dai tiepidi raggi di sole, spuntarono le prime pratoline e bucaneve.
A metà marzo, le acque avevano raggiunto il livello massimo del lago ed ora defluivano attraverso i canali di scarico appositamente predisposti.
Tutt' intorno, la terra era ricoperta da un soffice tappeto verde, trapunto di fiori di tenue colore e dal profumo inebriante.
Il gigantesco specchio d'acqua aveva attirato l'attenzione dei palmipedi migratori di ogni specie.
Ora, germani reali, folaghe, fischioni, alzavole, gallinelle d'acqua e aironi popolavano quell'oasi di pace e tranquillità.
In tutta la zona, i folletti avevano affisso vistosi cartelli: "DIVIETO PERMANENTE DI CACCIA E PESCA" - "PARCO NATURALE – ZONA DI RIPOPOLAMENTO" - "VIETATO GETTARE IMMONDIZIE" – "VIETATO ACCENDERE FUOCHI".
La sera del 20 marzo i folletti erano ancora indaffarati a completare le pulizie di tutta la zona. Ogni cosa era addobbata a festa e tutto era pronto per il gran momento: l'arrivo di Cori e della primavera.
Frattanto una miriade di lucciole si era riversata sulle rive del lago ed ora, volando tutt'intorno, illuminavano a festa la vallata.
A mezzanotte in punto arrivò Cori, trasportata da una carrozza fatta di fiori multicolori e trainata da una nuvola di colombe bianche.
Bella più che mai, guardava dappertutto e i suoi occhi brillavano, esprimendo soddisfazione e compiacimento, nel constatare che il suo lago prediletto e tutta la conca di Pergusa era ritornata al suo antico splendore.
Volle stringere la mano ai suoi amici Salvalachi, complimentandosi personalmente con ciascuno di loro per ciò che avevano fatto.

Frattanto il cigno bianco, che s'era tenuto in disparte per non togliere il merito ai graziosi folletti, riprendeva il volo nella stessa direzione dalla quale era arrivato.
Man mano che si allontanava, diventava sempre più grande e luminoso fino a trasformarsi in una gigantesca sfera di fuoco che sparì all'orizzonte, sopra la mitica Rocca di Cerere...




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